Nel mondo della consulenza alle imprese, sta diventando sempre più frequente porre l’accento sulla distinzione tra esportare e internazionalizzarsi. Un’impresa esporta quando vende un proprio bene o servizio ad un cliente estero; un’impresa si sta internazionalizzando quando attua azioni di marketing rivolte ad uno specifico mercato estero. Per molti anni le piccole e medie imprese italiane hanno esportato senza internazionalizzarsi. Alla fine del secolo scorso i produttori di piastrelle del distretto di Sassuolo avevano un tale vantaggio estetico/innovativo sui concorrenti esteri che era sufficiente che presentassero le loro novità al Cersaie (Salone Internazionale
della Ceramica per l'Architettura
e dell'Arredobagno) per esportare in tutto il mondo. Esportare, in quella situazione, non richiedeva nessuna azione di marketing verso uno specifico mercato estero, ma solo attività logistico/amministrative. In questo caso si tende a connotare queste esportazioni come “passive”, proprio per distinguerle da quelle “attive” che derivano, viceversa, da azioni dirette ai potenziali clienti esteri.
Un caso di studio: il settore delle piastrelle
Qual è il vantaggio di un export passivo? Il vantaggio risiede nella possibilità dell’impresa di focalizzarsi sulla produzione, senza disperdere le proprie energie e risorse su attività che richiedono specifiche competenze spesso non presenti nell’impresa. Di contro, lo svantaggio è quello di restringere il mercato “estero” ai soli paesi che hanno gusti e abitudini simili a quelli dei consumatori italiani. Anche nel periodo di maggior gloria delle piastrelle italiane alla fine del secolo scorso, quando le esportazioni italiane rappresentavano oltre il 50% dell’intero commercio mondiale, sui mercati emergenti del Golfo Persico le vendite italiane erano minimali, mentre dominavano le esportazioni di piastrelle spagnole, maggiormente in grado di soddisfare i gusti di stile arabesco.
Con l’entrata della Cina nel WTO l’11 dicembre 2001, è iniziata una lunga trasformazione del commercio mondiale che, da un lato, ha ridotto il peso dei mercati esteri con gusti e abitudini simili a quelli dei consumatori italiani e, dall’altro, ha aumentato il numero e la competitività dei concorrenti stranieri. Il risultato è stato, ad esempio nel caso del mercato mondiale delle piastrelle, una riduzione nei primi 15 anni di questo secolo delle quote di esportazioni italiane dal 50% al 25% e un incremento di quelle cinesi da poco più dell’1% al 45%. Negli ultimi anni, complice il deprezzamento dello yuan cinese e gli elevati livelli di consumi interni, la Cina ha ridotto le sue quote sul valore del commercio mondiale. Le esportazioni italiane però non hanno recuperato quote.
La maggior attenzione da parte delle nostre imprese ad azioni di marketing e commerciali mirate a specifici paesi esteri ha, però, consentito loro di interrompere la flessione registrata dalle quote di mercato detenute. Nel frattempo sono emersi altri paesi competitori, come ad esempio l’India, che in pochi anni è passata da esportazioni praticamente nulle a conquistare oltre il 7% del mercato mondiale.
Gli effetti dell’attuale crisi sanitaria ed economica
In termini generali, i beni scambiati attraverso il commercio mondiale possono essere distinti in tre categorie:
- commodity, per i quali la competizione avviene solo sul prezzo;
- beni differenziabili, inseriti nelle catene globali del valore, per i quali la competizione si gioca sulla capacità di sviluppare partnership lungo la filiera di appartenenza;
- beni differenziati, al di fuori delle catene globali del valore;
La maggior parte delle PMI esportatrici italiane appartiene a questa ultima categoria. C’è un generale consenso da parte degli studiosi di commercio mondiale nel ritenere che l'attuale crisi porterà ad una accelerazione delle modificazioni strutturali in atto già prima della pandemia: riduzione delle barriere commerciali all’entrata nei diversi mercati associate ad una crescente tensione competitiva. La competizione sarà sempre meno basata sulle caratteristiche “oggettive” dei prodotti e servizi proposti, e sempre più su quelle “percepite” dai diversi clienti. La nuova arte su cui si confronteranno le imprese sarà basata sulla conoscenza delle specificità dei vari mercati, per adattare i propri prodotti e servizi ai vari bisogni, gusti e preferenze dei consumatori locali, e sull’anticipazione dei momenti di sviluppo o di crisi, per ottimizzare l’effetto degli investimenti commerciali e quelli in comunicazione e promozione.
I dati di commercio internazionale descritti nel presente articolo sono tratti dalla piattaforma ExportPlanning, partner chiave del progetto Export Best Practice. Export Best Practice affianca infatti le competenze di consulenti selezionati alla ricchezza di informazioni della piattaforma ExportPlanning, per accompagnare con successo le imprese sui mercati esteri.