L'internazionalizzazione di un'impresa è un processo ampio e caratterizzato da numerose sfaccettature, a seconda dei differenti casi di business. Secondo l’analisi di Nanut e Tracogna (2003), l’internazionalizzazione delle imprese può avvenire essenzialmente attraverso due percorsi: via export o via investimenti diretti esteri.
Per la sua relativa semplicità e per il minor impegno richiesto, l’esportazione è tradizionalmente considerata come “il primo passo per l’entrata nei mercati internazionali, […] specialmente nell’ottica delle PMI”.
Export attivo e export passivo
Focalizzandoci sul percorso di esportazione, questo può essere declinato secondo due modalità: si parla infatti di export attivo e export passivo, tra i quali soltanto il primo può risultare il mezzo efficace per uno stabile ingresso sui mercati esteri.
Nel caso di export passivo, l’azienda esportatrice si limita ad assumere un comportamento ricettivo rispetto ad ordini di acquisto provenienti da clienti esteri, e non presenta una strategia di marketing ad hoc. Tale forma di esportazione rappresenta quindi, di fatto, una tentata vendita, caratterizzata da una forte saltuarietà. Nel lungo periodo il processo presenta scarse possibilità di successo, data l’assenza di una pianificazione strategica: i risultati ottenuti non dipendono, infatti, dall’azione dell’impresa, bensì da scelte di terzi, che possono cambiare velocemente per autonome motivazioni. Se una quota elevata del fatturato dell’impresa deriva dall’export passivo, di fatto risulta difficile per l'impresa pianificare crescita e sviluppo, facendo affidamento su risorse di mercato potenzialmente fluttuanti.
Per inaugurare un processo di effettiva internazionalizzazione, secondo gli esperti del settore non ci si può basare sul mero export passivo, bensì sul più elaborato processo di aggressive export (che in italiano possiamo tradurre come export attivo). L’export attivo è caratterizzato da una strategia di marketing in tutte le sue fasi: si parte da un’analisi preliminare, che valuta potenzialità e risorse aziendali, alla scelta dei migliori mercati e la formulazione di una corretta strategia, solo per citare i principali punti chiave.
Secondo SACE (2017), l’export attivo presenta, per le imprese italiane, ancora molte potenzialità da sfruttare. Infatti, la maggior parte delle imprese nazionali sceglierebbe tuttora di operare sul solo mercato locale, mentre le imprese esportatrici rappresenterebbero poco più del 4% del totale; tra queste ultime, le imprese che hanno fino a 50 dipendenti costituiscono più dell’80%.
In un contesto aziendale dalle dimensioni ridotte, è frequente disporre di una minore preparazione nell’affrontare costi e rischi dell’inserimento sui mercati esteri. Per portare a compimento processi di export aggressivo sono infatti necessarie strategie e risorse.
L'aggressive export richiede maggiori informazioni e implica processi decisionali più complessi
Una strategia di export aggressivo richiede una grande quantità di informazioni e porta l’azienda a dover attraversare processi decisionali complessi, per la cui attuazione risultano indispensabili due elementi chiave: l’assistenza di export manager esperti e l'utilizzo di informazioni per un'analisi strategica. Uno strumento fondamentale per pianificare in modo adeguato l'entrata su un mercato è infatti una sua adeguata analisi, in termini di caratteristiche, livelli e dinamiche della domanda, operatori presenti e loro strategie competitive.
Ma quale tipologia di dati può giocare un ruolo chiave in questo contesto?
In linea generale, i dati utilizzati nelle analisi di mercato possono essere distinti in primari e secondari: per dati primari si intendono nuove informazione raccolte per lo specifico obiettivo, sostenendone i relativi costi (si pensi ad interviste, survey, ricerche di mercato, ecc.), mentre per dati secondari si intendono informazioni pubbliche o comunque già esistenti e raccolte da altre fonti.
La banca dati di riferimento del servizio Export Best Practice è di tipo secondario e raccoglie dati di commercio estero e analisi di mercato, ma anche informazioni macroeconomiche e politico-istituzionali, per una valutazione completa dei possibili mercati di sbocco. Si individuano quindi gli elementi di opportunità, come gli elevati tassi di crescita della domanda, ma anche le possibili fonti di rischio (a livello di paese, credito, tasso di cambio ecc.).
I dati di commercio estero possono rappresentare un elemento chiave per scoprire quali mercati stanno mostrando una forte crescita della domanda o per valutare la propria performance sui mercati esteri serviti: il confronto tra le importazioni di un paese e le vendite dell'impresa sul medesimo mercato estero consente, infatti, una prima misura della capacità dell'impresa di risultare più o meno competitiva sul mercato di riferimento.
Diversamente dai dati primari, i dati secondari non risultano però di utilizzo immediato, e permettono l’estrazione di informazioni utili e robuste per pianificare un'espansione di successo sui mercati internazionali solo attraverso adeguati strumenti di analisi.