Le specialità agroalimentari emergono, senza ombra di dubbio, tra i punti di forza del Made in Italy, data l’ampia gamma di prodotti per cui l’industria agroalimentare italiana è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. A consuntivo 2021 si stima che il nostro paese si qualifichi come terzo esportatore di alimentari confezionati e bevande su scala mondiale, alle spalle soltanto delle vicine Germania e Francia.
È proprio il settore agroalimentare l’ambito su cui si concentra il lavoro di Valeria Minasi, consulente export per le PMI del territorio italiano dal 2016, che si occupa di fornire alle imprese servizi di marketing internazionale, sviluppo commerciale, assistenza tecnica al commercio internazionale e Temporary Export Management. Andiamo quindi a vedere quali sono i principali quesiti che la Minasi è solita fronteggiare, nella sua quotidiana attività di supporto alle imprese verso i mercati esteri.
Quali sono le principali minacce per l’export agroalimentare italiano?
In primo luogo, purtroppo, la principale minaccia è ancora costituita dall’Italian Sounding, vale a dire da quei prodotti che vengono spacciati per italiani ma che, di fatto, costituiscono un falso. Secondo Coldiretti e Filiera Italia, il “falso” Made in Italy agroalimentare nel mondo vale oltre 100 miliardi di euro, con un aumento del 70% nel corso dell'ultimo decennio.
Ad oggi, più dei 2/3 dei prodotti agroalimentari italiani venduti nel mondo sono dei “falsi”; nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, la competizione con i prodotti fake è elevatissima a causa dell’assenza di accordi bilaterali tra UE e USA che tutelino le nostre esportazioni.
In questi casi, l’unica strada per l’esportatore è, come sempre, quella di pianificare: selezionare accuratamente il proprio mercato, valutare tutte le minacce che può offrire, selezionare il proprio target e studiarlo in modo approfondito; individuare infine il giusto approccio di marketing e preparare l’azienda ad affrontare tutto questo.
Quali sono gli errori commessi più frequentemente dalle imprese italiane che vogliono esportare i prodotti agroalimentari all’estero?
L’errore principale è quello di considerare l’approccio al mercato estero identico a quello necessario sul mercato nazionale. Ogni Paese (e ogni nicchia di mercato) presenta le sue peculiarità, e nessuna azienda può permettersi di andare avanti a tentativi o di essere impreparata, se mira a costruire un solido posizionamento sui mercati internazionali.
Nel caso dei prodotti agroalimentari, in particolare, bisogna considerare che gli italiani conoscono molto bene il prodotto, conoscono la differenza tra un prodotto di qualità e uno scadente, hanno ben presente il suo utilizzo e riescono a valorizzarlo nel giusto modo. Tutto ciò può risultare totalmente diverso all’estero: il mercato può presentare una cultura radicalmente differente, nella quale il prodotto in questione è scarsamente utilizzato o impiegato per differenti scopi; oppure, più frequentemente, il consumatore medio non è in grado di valorizzare il prodotto di qualità, basando il suo acquisto solo sul fattore della convenienza economica.
Ecco che, ancora una volta, la fase di analisi del mercato di interesse riveste un ruolo più importante di qualsiasi approccio commerciale. Spesso, tutto quello che è valido per il mercato nazionale viene completamente ribaltato quando si tratta di export, e l’impresa dovrà organizzarsi in maniera tale da sostenere differenti approcci per differenti mercati.
Oltre alle opportunità che un Paese estero può offrire, quali altri elementi dovrebbe valutare un potenziale esportatore?
Uno degli elementi che spesso si valuta solo nella fase finale, quando cioè si è raggiunto un accordo con l’importatore, è l’accessibilità. La valutazione dell’accessibilità andrebbe effettuata, invece, in fase strategica. Considerare se in un Paese esistono dazi, accise, tasse per il nostro prodotto, esaminare la corretta documentazione da produrre, consultare quali sono gli standard e i requisiti da mantenere, e quali sono le corrette procedure di sdoganamento, dovrebbe essere essenziale tanto quanto la valutazione dell’opportunità offerta da un Paese.
Ho spesso visto imprese, entusiaste per un nuovo cliente trovato in un Paese, bloccarsi per un costo non considerato o per la mancanza di una determinata certificazione. Valutare l’accessibilità in fase strategica consente di migliorare la pianificazione generale, evitando investimenti in termini di tempo e denaro che potrebbero poi non rivelarsi proficui.