Negli ultimi mesi sono stati pubblicati dall’ICE due interessanti rapporti che sintetizzano le attuali sfide e opportunità per le imprese esportatrici, in un contesto di significativa evoluzione. Risale a luglio il XIX Rapporto ICE – Prometeia “Evoluzione del commercio con l'estero per aree e settori” e al 6 settembre il rapporto ICE 2021-2022, “L’Italia nell’economia internazionale”. Guardiamo quindi ai messaggi chiave emersi dai due studi.
I nuovi rischi possono rallentare l'internazionalizzazione
I dati mostrano con chiarezza come nel 2021 l’economia mondiale sia stata segnata dal rimbalzo post Covid – ripresa saldamente testimoniata anche dalle dinamiche del commercio estero italiano. Nel 2021 l’export made in Italy ha infatti mostrato una crescita del 7.5% rispetto ai livelli pre-pandemici, più dinamico rispetto a molti altri paesi leader: la ripresa tedesca ha sfiorato il +4%, il Giappone ha segnato un incremento dell’1.5%, gli USA dell’1%, a fronte invece di contrazioni tanto per Francia che per Regno Unito.
La nuova sfida emersa all’inizio del 2022 e ormai al centro della scena, quale il conflitto in Ucraina, va però a peggiorare tanto le prospettive di una crescita appena ripartita, così come la fiducia di imprese e consumatori. Benchè si preveda una dinamica di crescita per il commercio mondiale anche per l’anno in corso (+2.1% in volume), l’avvio del conflitto ha portato a dimezzare le precedenti stime. Le previsioni di crescita del commercio mondiale sono molto più elevate se considerate a prezzi correnti, ma tali valori risultano fortemente condizionati dal significativo aumento dei prezzi delle materie prime, cominciato lo scorso anno e accelerato con l’avvio del conflitto russo-ucraino.
Lo scenario rimane sottotono anche per il 2023: benchè si ipotizzi una fine degli scontri per l’anno in corso, il permanere di tensioni nei rapporti internazionali e sanzioni sul fronte commerciale potrebbe gravare sugli scambi, per i quali si prevede una crescita del 4% in volume.
Emerge quindi la possibilità di un rallentamento dei processi di internazionalizzazione e di una maggiore chiusura delle economie nazionali.
Il rallentamento degli scambi va a colpire maggiormente l’area europea, vicina alle aree del conflitto e sottoposta allo shock energetico; meno impattata, invece, la domanda nord americana, grazie ad una maggiore indipendenza energetica, così come quella dell’America Latina laddove, per i paesi produttori di commodity, gli aumenti di prezzo delle materie prime possono rafforzare il potere d’acquisto.
Nuove opportunità?
Benchè l’incertezza domini l’attuale scenario, permangono per le imprese opportunità da cogliere, in quello che potrebbe rivelarsi “un nuovo corso” dei processi di internazionalizzazione. Infatti, se con lo shock Covid gli scambi hanno evidenziato uno spostamento a livello merceologico, che ha portato in prima linea salute e tecnologia, le conseguenze dello shock bellico hanno evidenziato l’importanza della transizione green, e ridefinito lo scenario del commercio estero anche dal punto di vista geografico: nei prossimi anni si potrebbe infatti presentare la necessità di una riorganizzazione di parte dei flussi verso economie più vicine e più affini, accorciando la filiera per facilitare scambi e relazioni. Ad oggi, il rischio geopolitico sta quindi assumendo primaria rilevanza nella scelta dei propri mercati target.
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